lunedì 31 marzo 2008

Patto tra produttori per un Paese normale, di Angelo d'Aiello

È molto “emiliana” l’idea di Veltroni del “patto tra produttori” per favorire la crescita e l’equità sociale del Paese: finalmente si mette al centro dell’azione politica – e magari del Governo – il lavoro e l’economia reale. Si è molto scritto della contraddittorietà di candidare nel PD l’ex pres. dei giovani di Confindustria e il delegato della Thyssen di Torino, l’ex capo di Federmeccanica e la giovane precaria siciliana… sembrerebbe che nel grande partito riformista non si capisca più da che parte stare! Le cose stanno diversamente: è chiaro che il conflitto non può uscire dalla scena dei rapporti economici, gli interssi delle parti si faranno sempre sentire, questo sta nella natura e nelle regole della società civile; i conflitti poi possono essere a volte generati da una visione di giustizia generale o motivati dalla necessità di ottenere dei miglioramenti oggettivi, a volte dalla pura conservazione di privilegi o rendite di posizione.
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L’idea del “patto” è l’idea dell’unione delle forze migliori e più vive ed avanzate che, attraverso il PD che si impegna a rappresentarle, urlano a gran voce la volontà di affrontare le grandi questioni materiali del Paese: le industrie che si devono innovare, i prodotti che vengono esportati, le scoperte scientifiche e tecnologiche da supportare, la libertà di ricerca e i fondi all’università, la sicurezza sul lavoro, i contratti da migliorare, i problemi dell’energia, dei rifiuti, le strade e le ferrovie che mancano o non funzionano, i ritmi di vita, l’ambiente, i salari bassi, gli studi di settore troppo alti, la precarietà, il costo folle della vita, la concorrenza spietata o il potere delle corporazioni, la qualità.
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Avvertiamo, soprattutto noi giovani generazioni, il bisogno di vivere in un Paese con orizzonti più larghi, meno asfittico e chiuso. Un Paese che discute e poi che fa. Meno diviso ed inconcludente. Sentiamo il bisogno di una politica essenziale e concreta, ispirata da valori alti, che abbia in sé la forza di delineare orizzonti collettivi nuovi. In questo senso, se si vorrà cogliere lo spirito del tempo, il nuovo che si muove, il progresso, ben vengano lavoratori, tecnici, imprenditori, artigiani, ricercatori, agricoltori, uomini di cultura, della scuola, della sanità e che torni protagonista l’impegno politico delle categorie sociali e dei saperi, affinchè i problemi – quelli veri -, quelli delle persone che hanno una vita faticosa ed incerta ogni giorno, siano il cuore delle preoccupazioni di chi ci governerà. Allora sì che potremo aspirare a vivere in un Paese normale.

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