mercoledì 26 agosto 2009

Gli operai dell’INNSE hanno fatto bene!

Finalmente un segnale di speranza dal mondo del lavoro che alza la testa e non molla,

difende il proprio posto e l’azienda e vince la battaglia per il proprio futuro.

di Angelo d’Aiello

Il fatto buono dell’estate è senz’altro la battaglia dei quattro lavoratori dell’Innse di Milano che, insieme ad un sindacalista della Fiom, si sono asserragliati per 8 giorni in cima ad un carroponte ad oltre 20 metri di altezza all’interno della fabbrica e, soffrendo il caldo e gli stenti, si sono opposti allo smantellamento dei macchinari dell’azienda che stavano per essere venduti in vista della chiusura dell’attività. Tale protesta, estrema ma non violenta, ha mobilitato l’opinione pubblica e le Istituzioni che, con la loro opera di mediazione, hanno portato un nuovo acquirente industriale ad impegnarsi per il futuro dell’Innse dando una prospettiva allo stabilimento ed ai 49 dipendenti.

La vicenda ha molti aspetti particolari, legati alla storia di quei lavoratori, di quella proprietà, di quell’area, tuttavia possiamo fare alcune considerazioni generali:

  1. la crisi c’è! Nonostante i mass media, in particolare TG1 e TG2 abbiano fatto di tutto per oscurarla, per presentarla solo attraverso dei numeri di PIL, le immagini vere della crisi sono le fabbriche che chiudono, le famiglie disperate, i picchetti dei lavoratori, gli artigiani o i piccoli imprenditori che piangono. Viviamo due realtà, quella di noi “persone normali” che vivono un progressivo impoverimento – iniziato già col passaggio dalla Lira all’Euro – e quella della TV dove i problemi sono altri rispetto alla condizione di vita della gente, dove si distrae o si trovano comodi capri espiatori. Guardo alla realtà di Finale Emilia cercando di non drammatizzare ma, da amministratore e politico locale, sono testimone di un moltiplicarsi delle persone che cercano aiuto per “saltarci fuori” con le spese e con la ricerca di un’occupazione; guardo alla realtà delle nostre aziende e vedo un tessuto economico fragile fatto di eccellenze ma anche di aziende che traballano;

  1. in questa situazione a pagare il prezzo più alto sono sempre i soliti: i più deboli, i lavoratori precari, quelli delle piccole aziende, le donne scarsamente qualificate, le famiglie immigrate - non importa da dove, anche quelle dal Mezzogiorno -, coloro che sono fuori dalle reti di protezione e garanzie non solo istituzionali ed economiche ma anche sociali e familiari. Siamo in un Paese dove la mobilità sociale non esiste, se sei “fuori” da certi contesti che ti “mettono al sicuro” è quasi impossibile entrarci e oggi più di qualche anno fa anche il merito, la scuola, non sono sufficienti a far emergere coloro che sono capaci;

  1. il fatto che ci siano esempi come quello dell’Innse di sano conflitto e di presa di coscienza fa sperare che il mondo del lavoro ma, più in generale, il mondo di coloro che sono più deboli, non sia destinato alla rassegnazione ed al fatalismo, bensì abbia l’iniziativa, l’autonomia e la forza per muoversi e farsi sentire, anche in modo nuovo e intelligente come in questo caso. Non è scontato: sono anni che le voci che vengono dal basso contano troppo poco al tavolo della rappresentanza sociale e politica ed i risultati sono stati una perdita di diritti, un peggioramento delle condizioni economiche e materiali di vita, un peggioramento del ruolo sociale (per anni sembrava che gli operai fossero in via di estinzione e che tutti fossero manager o impegnati nella finanza);

  1. il Pd deve stare dalla parte di chi sta peggio e fare politica e proposte avendo al centro quel pezzo di Paese che sta peggio. Ovviamente dobbiamo avere una visione complessiva ma da lì dobbiamo partire.